Nel circuito delle mura si può entrare da qualsiasi parte, ma noi iniziamo la descrizione dal
cuore stesso di Verona, piazza Bra'. Dai portoni, con a fianco la grande torre
pentagona, le
mura comunali ci guidano, come il raggio verso la circonferenza, lungo via degli Alpini e via
Pallone, fino all'Adige. Nonostante l'allineamento di finestre e lapidi, la muraglia merlata
conserva una certa imponenza, diventando poi più interessante per il variare del paramento
murario e del tracciato non rettilineo. Si notano i resti di una torretta, delle numerose che
dovevano esserci, poi alcuni mensoloni in pietra.
Si tratta della seconda cinta comunale, costruita tra il 1240-50 da Ezzelino da Romano, di
fatto signore della città alla fine dell'epoca del libero Comune. Fu necessario costruirla per la
debolezza della prima cinta, i "muri novi" costruiti qualche metro più in là,
sull'Adigetto, alla
fine del secolo precedente e terminati forse nel 1224, ma già danneggiati da una grande
piena nel 1239.
( Per vedere i resti di queste prima cinta occorre partire da
Castelvecchio, con il muro che ora delimita il cortile e,
sotto la statua di Cangrande, la porta "del Morbio"; poi spostarsi nella depressione tra via Manin e via dei
Mutilati per vedere la bella torretta semicircolare, e poi ancora in via
Adigetto, dove tratti di mura sono ora la
facciata posteriore degli uffici comunali, costruiti nello spazio tra le due cinte parallele.
Tra le prime mura comunali e quelle di Ezzelino rimase a lungo una strada , detta "coperta" perché nascosta
alla vista del nemico. )
Proseguendo per via Pallone si arriva alla TORRE DI PONTE ROFIOLO, fatta sopraelevare
da Alberto della Scala. A difesa del paesaggio urbano andrebbe rimossa la torre per
telecomunicazioni, in disuso, che si vede sullo sfondo, nella luce dell'arco della
breccia stradale.
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Al di là dell'Adige , un po' più a monte, la cerchia di mura riprende con lo sperone fatto
costruire da Antonio della Scala, per concludere sul fiume la cortina eretta da Alberto tra il
1287-89. La PORTA VITTORIA scaligera, dal nome della vicina chiesa dedicata a S. Maria
della Vittoria da Cangrande II dopo aver sconfitto il fratello Fregnano, è stata cancellata dalla
breccia stradale. La porta asburgica, inserita sullo zoccolo ad opus poligonale che rafforza la
cortina, è del 1838, su progetto di Conrad Petrash (non di Barbieri, che disegnò una diversa
soluzione ) con funzioni solo civili, dovendo collegare la città al nuovo cimitero.
Dal "penel dela Vitoria, dove li è una sortita che riusise sula strada de
Venectia, et de qui
fino al baloardo (quello delle Maddalene, ndr.), li è pertiche numero 500 de cortina vechia et
goba" (Sanmicheli 1546). Vecchia perché era, ed è ancora, quella di Alberto della Scala,
gobba perché il muro piegava a sinistra verso settentrione, dove poi sarà costruito il
bastione di Campo Marzo. Il povero muro scaligero, vecchio e gobbo è ora anche
zoppo, perché privato della base, interrata secondo una prassi novecentesca che
vedremo più volte applicata. Già gli austriaci lo avevano abbassato, privato della merlatura
e rafforzato alla base dallo zoccolo, datato MDCCCXXXVIII. Il colpo di grazia lo hanno dato
gli interventi più recenti, gli edifici dell'Università, che sporgendo sopra la cortina, la
relegano al rango modesto di confine di proprietà.
( L'Università, non potendo contare, fino a pochi mesi fa, sui nuovi spazi della
Passalacqua, ha dovuto espandersi
in altezza. E' augurabile che i nuovi edifici, in obbedienza alle norme balistiche di un tempo, restino al di sotto
della linea visuale tra osservatore esterno, sommità delle cortine e cielo. )
Dal vallo interrato sporge la casamatta della BATTERIA PELLEGRINI (1838) . Le
cannoniere sono scomparse sotto terra, tanto che si fatica a capire la funzione di questa
difesa, che era stata inserita nella cortina per battere il fronte rettilineo fino all'Adige.
L'interramento crea seri problemi di umidità all'edificio, che, restaurato dalla
Soprintendenza, ospita oggi la sede di un'associazione sportiva.
Sul fronte interno verso la città, la batteria Pellegrini, con tracciato semicircolare e feritoie per
fucilieri, assolveva al compito di difesa interna.
Chiuso il passaggio interno per la presenza delle caserme, senza le gionate
senza'auto
costerà qualche danno a bronchi e polmoni percorrere il lungo tratto fino a Porta Vescovo
all'esterno delle mura, lungo la trafficatissima via Torbido. Smog e rumore, con in più le varie
brutture, tralicci, capannoni, immondizie, in cambio di pochi particolari interessanti.
Biancheggia tra il fogliame l'orecchione aggiunto dagli austriaci per proteggere la sortita
aperta nel fianco destro del BASTIONE DI CAMPO MARZIO, ma si fatica a vederlo tra gli
alberi.
BASTIONE DI CAMPO MARZIO
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Quasi non si percepisce la presenza del bastione, perché, seminascoste dalla vegetazione,
le facce molto lunghe sembrano tratti rettilinei di cortina terrapienata (è il bastione di
maggiori dimensioni della cinta cinquecentesca, e l'ultimo ad essere costruito dai veneziani,
dopo il 1560) . Ma arrivati alla PORTA DI CAMPOFIORE, aperta nel 1865 per il raccordo
ferroviario con la stazione di Porta Vescovo, si vedono abbastanza bene l'orecchione
sinistro e il fianco ritirato.
Sulla destra, dopo reti e campo da calcio, col solito corredo di baracche
spogliatoio, si
vede il fianco destro del piccolo BASTIONE DELLE MADDALENE.
E' la prima opera a tracciato bastionato costruita a Verona, nel 1527. Le quattro cannoniere
sui fianchi corrispondono ad altrettante casamatte, con cui vennero sostituite nel restauro del
1840 le originarie postazioni superiori a cielo aperto e le casamette inferiori. Il bastione è
stato restaurato non molti anni fa, e forse la grande crepa
(vedi foto sulla destra) che si vede su entrambe le facce
è, speriamo, sotto controllo.
Dopo il bastione delle Maddalene il vallo scompare, riempito per un lungo
tratto.
La breccia stradale prima della porta è del 1920.
PORTA VESCOVO (nel medio evo "del Vescovo" che vi aveva diritti fiscali) fu la prima ad
essere rifatta dai Veneziani, una volta riavuta la città e messo mano al rinnovamento delle
difese. La data MDXX (1520) si legge sopra le aperture minori del corpo centrale esterno, nel
quale si riconoscono ancora le linee rinascimentali. Nel 1860, con un rifacimento meno
felice di altri interventi austriaci, furono aggiunti due nuovi archi laterali e le due postazioni
su un lato. Completamente rifatta la fronte interna, con il corpo centrale delimitato dalle
torrette ottagonali, con merlatura e paramento bicromatico come in altri edifici di quegli anni
(Arsenale, Santa Marta).
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